INTERVISTA EFFETTUATA NELL'OTTOBRE 1994 CON NELIDA MILANI KRULJAC, SCRITTRICE, PRESIDE DELLA FACOLTÀ DI PEDAGOGIA DELL'UNIVERSITÀ ITALIANA DI POLA

 

 

D.: Professoressa Milani, le scuole italiane a Pola si muovono fra mille difficoltà. Potrebbe dirci quali sono gli obbiettivi raggiunti, quelli raggiunti solo parzialmente e quelli disattesi?

 

R.: Ha ragione, si muove fra mille difficoltà, di ordine economico, sociale, ma, soprattutto, di ordine linguistico. E a quest'ultima affermazione collego gli obbiettivi parzialmente raggiunti, da raggiungere o irraggiungibili.

La questione di fondo è che esiste un massiccio accesso, un gran numero di iscrizioni anno per anno e la cosa dura già da un decennio; molti alunni slavofoni vengono alle scuole italiane spinti da motivi culturali o da ragioni affettive verso la nostra etnia.

Essi, figli di matrimoni misti, vogliono recuperare le radici plurietniche che partono dalla loro famiglia, ma non possiamo escludere che le ragioni della scelta siano anche economiche, in quanto essi sperano di ottenere un posticino al sole nel Friuli Venezia Giulia, emigrando così in Italia, dato che qui perdura una situazione economica miserevole.

Questi studenti che hanno frequentato le scuole elementari in lingua croata, sono padroni del dialetto istroveneto, usato in famiglia e nell'ambiente del vissuto quotidiano.

Essi non sono invece padroni, o lo sono debolmente, dell'italiano standard.

La scuola, che ha una struttura tradizionale, classica e monolingue, non è preparata ad accogliere il bilinguismo e a far evolvere il bilinguismo di questi studenti. Si capisce, dunque, come loro creino grossi disagi, anche perché gli insegnanti non sono psicolinguisticamente e sociolinguisticamente preparati a soggetti siffatti e li trattano come se fossero italiani monolingui.

Gli studenti di scuola media, soprattutto, creano difficoltà proprio di ordine linguistico, perché i livelli si sono spaventosamente abbassati e appiattiti; esiste un degrado spaventoso, non solo quello linguistico degli alunni, ma anche quello linguistico degli insegnanti, a cui si deve aggiungere la miseria perdurante in Croazia, causa diretta della guerra; infatti, anche se non si combatte qui, le difficoltà economiche si ripercuotono su tutta l'area nazionale croata.

Vi è stata una consistente defezione dei quadri insegnanti, che vanno a lavorare in Italia, o si trovano una nuova professione in Slovenia, dove si gode un tenore di vita normale.

Le scuole italiane in Croazia hanno dovuto così ingaggiare quadri non insegnanti che comprendono specialisti economici, tecnici, ingegneri, matematici, fisici tolti dai posti di lavoro, dai cantieri 'Scoglio Olivi', dalle banche ecc., per coprire i vari profili di insegnamento economico, tecnico, elettrotecnico ecc.

Questi, non sono portatori normali di un modello linguistico e culturale italiano, ma sono molto carenti; non sono padroni della lingua italiana, avendo fatto i loro studi universitari in lingua croata, inoltre, ciò che essi ricevono come compenso o come onorario è una cosa miserrima e irrisoria.

Essi insegnano per pietà verso la scuola e non sono per nulla stimolati ad impadronirsi e a crearsi un linguaggio settoriale e specifico per la loro materia in italiano standard, di conseguenza fanno traduzioni azzardate, monche, aliene dallo spirito della lingua italiana.

 

 

D.: Le scuole italiane e, in particolare, il Liceo e la facoltà di pedagogia, hanno una capacità attrattiva nei confronti dei giovani croati, o no?

 

R.: Hanno una capacità attrattiva. La cultura italiana si irradia da sempre in queste terre. in esse è stata sempre presente l'italianità, anche se adesso Zagabria afferma che nel passato sia sempre stata prevalente la cultura slava.

In realtà, dalla cultura latina si è passati a quella istroveneta, che si mantiene fino ai giorni nostri.

Lo Stato italiano, purtroppo, è stato presente solo nel ventennio fascista, e dico purtroppo perché ha contribuito ad annientare proprio l'italianità. Le conseguenze le conosciamo tutti: 350 mila italiani sono stati costretti ad andarsene. tuttavia questa è e rimane una zona grigia, un cuscinetto in cui si incontrano la civiltà latina, poi romanza, ed oggi quella italiana, e quella slava. In una zona come questa è imprescindibile che le due civiltà si incontrino, che ci siano le fughe reciproche, che ci siano anche scambi reciproci, dopo aver annullato tutti gli steccati etnico-ideologici.

Questa è una zona ibrida, ricca di interferenze continue, che sfruttano anche grossi valori umani e pedagogici.

In fin dei conti, nell'Istria lei avrà modo di osservare che il bilinguismo, anche se è zoppo, non è perfetto, però è molto diffuso.

Il bilinguismo si può evidenziare meglio qua, in questa antropologia, che parla due lingue, magari male, che a Trieste, dove in taluni ambienti perdurano ancora gli steccati.

 

 

D.: Secondo lei, quale è il grado di conoscenza dell'italiano standard di un ragazzo italiano che inizia il primo anno di scuola in una media superiore?

 

R.: Credo che possa concorrere con un ragazzo dell'Italia, della penisola, in quanto ha seguito lo stesso curriculum dell'italiano, ha assorbito la cultura tutta in italiano, ma si capisce che ha l'handicap della scarsa produzione linguistica, nonostante egli sia esposto in classe alla lingua. sia esposto all'influsso dei mass media, legga il giornale italiano, ascolti la televisione italiana, produce poco in italiano, perché i contesti sociali non glielo permettono, perché in una giornata passa automaticamente decine di volte, da una lingua all'altra e la lingua prevalente è quella croata, che usa per poter comunicare con i coetanei o nelle sfere sociali che lui frequenta.

 

 

D.: Il bilinguismo, tanto sbandierato a parole, ma poco praticato nei fatti, può, o meglio potrebbe, essere un deterrente nello sviluppo dell'italiano standard?

 

R.: Qui il bilinguismo non è assolutamente applicato. Mai prima nella Defunta [l'Impero Austro-Ungarico, N.d.R] avevamo, nella vasta territorialità regionale, due comuni, Rovigno e Buie, con il bilinguismo del comune, cioè ufficiale, mentre dappertutto era regolamentato in maniera parziale, a livello europeo, nei tribunali, negli ospedali, negli Enti Pubblici.

In questa pseudo-democrazia c'è stata una breve stagione della speranza: si credeva alla regolamentazione dello statuto della Contea Istria, si credeva che il bilinguismo avrebbe stabilito posizioni paritarie al croato e all'italiano, ma questo Statuto è stato congelato dal governo ed è stato preso in esame dalla Magistratura.

In realtà non si sa nulla del suo destino, anche se la sua stesura ha trovato riscontri favorevoli al Consiglio d'Europa, di cui il governo di Zagabria sarà rispettoso e onorerà certi standards europei.

Qui in Facoltà mi è stato più volte rimproverato di parlare italiano e, si noti, questa Facoltà ha due sezioni, una croata e una italiana; per adesso, fino a quando non ci elimineranno, perché l'intento è di soffocare questa nostra sezione.

 

 

D.: E' vero, Professoressa Milani che, in teoria, un giovane che esce da una scuola italiana, potrà avere scarse occasioni d'uso dell'italiano e si rifugerà nel dialetto istroveneto?

 

R.: Il dialetto istroveneto è la vera lingua nazionale degli italiani d'Istria.

Io ho provato, per mia deformazione professionale, a tentare a più riprese la via per far usare agli italiani anche lo standard. Ma questo non attecchisce.

L'italiano costituisce la 'lingua' ed ha il potere. Solo chi padroneggia la lingua sa parlare e si trova in una posizione di forza, mentre gli altri si crogiolano nel dialetto, lingua rispettabile ma di brevissima gittata, che ci permette di riunirci soltanto con il Friuli Venezia Giulia, regione che ha lo stesso dialetto, le nostre tradizioni e la stessa mentalità.

Il dialetto non ci permette di congiungerci alla vasta cultura italiana odierna; con il dialetto non ci possiamo aggiornare, non possiamo aggiustare il tiro sulla visione del mondo che l'Italia ha, noi siamo rimasti mummificati con il dialetto, fossilizzati alla rottura dell'etnosistema regionale, nel periodo che intercorse fra il '45 e il '47, quando vi fu l'esodo, avvenimento dai risultati sconvolgenti.

Con il dialetto si possono fare poche cose, tutte a carattere regionale e non certamente agganciarci alla nazione madre.

 

 

D.: Concludendo, da qualche tempo è invalsa l'opinione che in Istria debba formarsi un 'modello istriano', autonomo da quello italiano e da quello croato. Lei crede nella validità di un modello siffatto e che quindi sia un elemento che possa rinvigorire una comunità in difficoltà o possa essere un fattore di ulteriore debolezza?

 

R.: Io credo che questo concetto di istrianità sia molto contraddittorio; da una parte ci credo, perché ognuno di noi crede al sogno e all'utopia e questa è un'utopia, che definirei europea, in cui tante lingue nazionali formino una cultura sovranazionale e un'identità sovranazionale.

In piccolo, nel suo microcosmo, l'Istria pretende di rispecchiare ciò che vorrebbe essere l'Europa di domani. Questo appartiene al domani, ma quale sarà il futuro?

Riportando il discorso sul concreto istriano, credo che questo concetto di istrianità sia, per certuni di noi italiani, una specie di rifugio, di 'ultima spes'; ci si rifugia nell'istrianità perché ormai come italiani siamo ridotti al minimo biologico, non abbiamo possibilità per riprodurci italianamente, perché la società attuale croata non offre al singolo italiano quegli elementi, quei programmi, quelle istituzioni che possano riprodurre questa cultura. Così ci rifugiamo nell'indefinito, anche se devo aggiungere che il concetto di istrianità è validissimo, perché è una sintesi di tutte le diversità istriane, etniche, nazionali e linguistiche.

Per certuni, è diventata addirittura un'identità forte, perché non si identifica con Zagabria, con la quale non abbiamo da spartire storia, tradizioni, costumi, usi e mentalità.

Così si preferisce dichiararsi istriani; in effetti la stessa simbologia inalberata dal neocostituito Stato nazionale favorisce un modello monolitico che ben pochi possono condividere (...)

L'istrianità è quel di più, quella caratteristica antropologica composita, che unisco alla mia identità forte di italiana. Io sono italiana, ma vivo in questa realtà mista, perché ormai sono assuefatta, abituata alla diversità: da noi la diversità è di casa, ma sappiamo che la convivenza multiculturale e multietnica è un problema che affronta non solo il nostro piccolo mondo, ma il mondo intero. Tuttavia, la cultura della tolleranza ha una valenza negativa, perché tollerare qualcuno può avere un valore negativo, vuol dire guardare dall'alto in basso un individuo con sufficienza; io, personalmente, definendomi istriana, accetto anche l'elemento croato. Questa preferirei definirla 'cultura della convivenza'.