INTERVISTA
EFFETTUATA NELL'OTTOBRE 1994 CON ANTONIO PELLIZZER, STUDIOSO DEL DIALETTO
ISTRIOTO E AUTORE COL PADRE DEL VOCABOLARIO ROVIGNESE-ITALIANO.
D.: Professor Pellizzer, qui a Rovigno e in
cittadine vicine come Dignano, Valle, Gallesano sopravvive l'istrioto.
Qual’è, secondo lei, il suo stato di
salute? E' ormai limitato agli anziani o, in qualche modo, è esteso anche ai
giovani?
R.: Io aggiungerei
alle cittadine da lei citate anche Sissano ed Orsera, per avere un quadro
generale della situazione.
Diciamo
che in queste ultime cittadine l'istrioto è quasi completamente scomparso.
Mentre, invece, nelle altre cittadine, Rovigno, Valle, Gallesano, Dignano,
l'istrioto si mantiene.
Il
suo stato di salute non è certamente dei migliori, possiamo anzi dire che a
Rovigno, per esempio, i parlanti si riducono a qualche centinaio, quelli che lo
conoscono passivamente sono compresi tra mille o milleduecento persone.
Di
conseguenza, possiamo parlare, credo, di un arretramento incontrovertibile e
della sua ineluttabile e prevedibile scomparsa.
Lo
parlano soprattutto gli anziani, i giovani rovignesi in particolare lo
capiscono.
A
Valle, a Dignano, a Gallesano, la situazione è un po’ diversa, quando i giovani
lo parlano in famiglia, mentre fra loro, preferiscono il veneto, ossia
l'istroveneto, come del resto accade anche a Rovigno.
Devo
dire che il rovignese viene parlato in certe zone del mondo: vi sono ancora gli
esuli che sono stati costretti ad andarsene e quando ritornano hanno
l'occasione di riprendere la parlata. Il numero dei parlanti aumenta
soprattutto d'estate.
Gli
esuli hanno mantenuto integro l'istrioto, lo parlano all'estero fra di loro e
lo usano anche in famiglia.
D.: La parlata istriota è stata un vero e
proprio rompicapo per gli studiosi, che talvolta hanno dato interpretazioni non
sempre immuni da suggestioni politiche.
Lei, da valente studioso della lingua, è
propenso a ritenerla una parlata dai caratteri arcaicizzanti, inquadrabile nel
sistema dei dialetti italiani settentrionali, come fa il Tagliavini, o pensa
che sia un fenomeno a sé stante, autonomo come lo fu il dalmatico e lo sono
ancora il sardo e il ladino, teoria questa sostenuta da studiosi slavi quali il
Muljacic e il Deanovic ?
R.: Effettivamente la
strumentalizzazione politica è stata presente in tutti questi anni. Vi sono
fondamentalmente due tesi, una slava e una italiana.
Deanovic
nel suo “Avviamento allo studio del
dialetto d'Istria” (1953) parlava di tre tesi, ma la prima, quella che
riportava i rovignesi nel quadro del ladino, ormai è scomparsa, non l'accetta
più nessuno.
Rimangono
le altre due, una che lega questa parlata al sistema dei dialetti italiani,
l'altra che lo lega al dalmatico.
Io
ritengo che il rovignese appartenga alla sfera dei dialetti italiani, anche
perché la colonizzazione é avvenuta in tempi molto lontani; la romanizzazione
ha portato gli elementi della lingua latina sul substrato esistente, quindi
possiamo dire che col procedere della storia, questi caratteri siano venuti
trasformandosi esattamente come è avvenuto nelle altre parti d'Italia.
(...)
con la colonizzazione romana vennero fondate le cittadine di Tergeste, Parentium, Pietas
Julia, che furono fonti di irradiazione della civiltà romana; credo che la
romanizzazione abbia avuto inizio proprio allora.
Da
quel momento c'è stata una costante assimilazione linguistica, che ha portato
alla creazione di due aree, una settentrionale che vede il ladino, il friulano,
l'altra meridionale, a sud di Capodistria, che vede la presenza di questa
parlata.
C'è
stato poi il cuneo slavo nella zona di Capodistria che ha contribuito a
delimitare queste due aree linguistiche. Per questo credo si possa rispondere
tranquillamente che il rovignese, come l'istrioto, appartenga ad un'area
romanza, per quanto il rovignese sia preveneto.
Non
si può parlare, però, di una lingua a sé stante, ma di uno dei tanti dialetti
che erano nati allora dalla romanizzazione.
D.: Sembra che un tempo l'istrioto avesse
una distribuzione areale molto più vasta di questa attuale; circa un secolo fa
A.Ive nel suoi “dialetti
ladino-veneti dell'Istria”, afferma che ancora nella metà del secolo scorso si
parlava a Pola una lingua affine all'istrioto. Potrebbe aiutarci a definire
l'estensione massima di questa parlata prima che venisse intaccata dal
veneziano?
R.: A questa
domanda si può rispondere con i dati di cui si dispone. Verso la fine del
secolo scorso l'Ive aveva collocato i confini di questa zona, della aree dove
si parlava l'istrioto, a nord di Parenzo, ma noi non abbiamo prove.
Sembrerebbe
che l'area dell'istrioto si limitasse alla fascia costiera della penisola
meridionale, nel tratto da Parenzo a Pola, comprendendo anche le località
dell'interno, che abbiamo avuto occasione di citare, e che presentavano le
stesse parlate.
Queste
stesse, però, presentavano delle diversità: per esempio a Valle ci sono delle
differenze abbastanza consistenti nel sistema vocalico, così come a Dignano e a
Gallesano.
Ognuna
di queste espressioni idiomatiche ha delle caratteristiche particolari, e il
panorama si presenta assai problematico, poiché la zona in cui l'istrioto
sopravvive attualmente è assai ristretta, comprendendo un massimo di trenta
chilometri di lunghezza e dieci di profondità.
D.: Prima che l'istrioto fosse incalzato
dalla lingua della Dominante, riuscì in qualche modo a creare un centro di
irradiazione linguistico, oppure stante il tradizionale particolarismo
istriano, questo non poté avvenire?
R.: Io non credo
che vi sia stato un centro di irradiazione linguistica, anche se grazie a
questo particolarismo istriano, per molti secoli Rovigno ebbe una posizione
dominante per quanto attiene all'economia.
Credo
non si possa stabilire che vi fosse una città centro di irradiazione
dell'istrioto.
D.: L'Istria, nel XIV secolo e, più tardi, nel
corso dei secoli XVI-XVII, venne falcidiata da cicliche epidemie di peste che
stravolsero il tessuto etnico autoctono. L'istrioto riesce a sopravvivere
nonostante ciò. Come fu possibile?
Inoltre le cittadine, spopolate in gran
parte dal morbo, furono rimpinguate con elementi provenienti dalle campagne.
Possiamo presumere con ciò che la diffusione dell'istrioto fosse molto ampia
negli ambienti rurali.
R.: C'è
un'iscrizione sull'entrata principale della città in cui sta tutto il senso
della risposta da dare: Rovigno era stata risparmiata dalla peste.
Le
epidemie travolsero il tessuto autoctono dell'Istria, ma Rovigno fu preservata
da questo flagello e la scritta "Reposso
de' deserti" sta a significare che la cittadina era il rifugio di
quanti, oppressi dalle guerre o minacciati dalle epidemie, potevano sempre
trovare un pezzo di pane.
L'istrioto
venne mantenuto proprio grazie a questo fatto, la città venne risparmiata e
pertanto poté mantenere il suo tenore economico assai alto.
Io
credo non si possa parlare di una diffusione dell'istrioto negli ambienti
rurali. Proprio in quella tristissime circostanze, venne fondato il villaggio
di Villa di Rovigno, distante da qui circa dieci chilometri, ma lì il rovignese
non attecchì.
I
morlacchi, fatti affluire da Venezia, non sposarono l'istrioto; essi mantennero
dei rapporti corretti con i rovignesi, ma non si può parlare di diffusione
dell'istrioto.
Rimase
invece nelle località fortificate, in particolare Valle, dove si trova il
famoso castrum Lombardis, ma non si può parlare di
un'espansione.
D.: Professor Pellizer, quando il veneziano
riuscì ad affermarsi come registro privilegiato rispetto all'istrioto, e con
quali modalità ?
R.: Dopo l'atto di
dedizione del 1283, Rovigno ebbe contatti molto forti con Venezia: offriva alla
Repubblica i suoi 'marittimi', i
marinai, i suoi piloti e offriva anche i prodotti della pesca, cosicché a poco
a poco il veneziano divenne la lingua dominante.
Vi
fu la posizione privilegiata del veneto rispetto all'istrioto, così come vi
sarà più tardi fra l'italiano rispetto all'istroveneto.
Credo
che la ragione affondi le sue radici nella promozione sociale; pare che questo
idioma fosse parlato solo dai letterati; pensi che il primo documento scritto
risale alla metà del secolo scorso.
L'istrioto
era tuttavia molto ricco di espressioni, che rappresentavano un patrimonio
ricchissimo, ma l'istroveneto offriva la possibilità di superare la soglia del
volgo per avvicinarsi ad una visione del mondo più raffinata e ad una vita
migliore.
D.: Un tempo era invalsa l'opinione,
soprattutto fra gli anziani, che il "ruvigneis marso" fosse la lingua
dei "pescaturi e zapaturi", con connotati profondamente negativi.
Il dialetto in tutta Italia era la lingua
della povertà e della miseria, ma qui sembrava avere una valenza ancora più
negativa. E' possibile?
R.: A un certo
punto sì, il rovignese era la lingua dei pescatori e dei contadini, quelle
poche centinaia che oggi parlano l'istrioto, sono ancora da collocarsi in
queste fasce sociali.
Sono
rarissimi gli intellettuali che parlano il dialetto rovignese: tutti lo
capiscono, ma non lo parlano.
Effettivamente
parlare rovignese, parlo solo di cinquanta o sessanta anni fa, significava
collocarsi in una fascia inferiore rispetto alla media. Fatto sta, che si
diceva ai ragazzi di imparare l'italiano, o per lo meno parlare l'istroveneto,
per evitare di essere collocati subito in quella zona umbratile delle classi
più umili.
Per
poter imparare la lingua occorreva 'favelà
in cecara', che tradotto, significa parlare con delicatezza, come si
manipolano le chicchere, le tazzine, in maniera raffinata, ma qui le castronate
non si contavano, perché mancava una base di riscontro per poter parlare così.
D.:
Alla luce dei
recenti mutamenti politici, c'è stata una ripresa dell'elemento italiano in
Istria?
R.: C'è stata una
ripresa di coscienza linguistica nazionale dopo il '45, o meglio, dopo il
grande esodo che ha falcidiato la penisola; questa ripresa ha avuto più stadi,
l'ultimo dopo il crollo del muro
di Berlino. Vi era sentore di questa insofferenza anche prima, ma riesce ad
esprimersi solo con l'Unione Italiana.
Un
punto notevole che segna una svolta è il 1964, quando, per la prima volta, si
ricollegano i ponti culturali, spirituali e ideali con l'Italia, grazie all'Università
Popolare di Trieste.
Da
allora in poi c'è stata una crescita delle comunità italiane: si deve ricordare
che dopo l'esodo, nel '51-'52, gli intellettuali rimasti si potevano contare
sulle dita di una mano e bisognava iniziare da capo.
Con
l'avvento dello Stato croato indipendente, il concetto di identità nazionale si
è fatto vivo, anche perché lo stato croato è in mezzo al guado per quanto
riguarda la democrazia.
Molta
gente che è rimasta lo ha fatto per le idee del socialismo; con il crollo del
Muro sono venuti meno questi ideali.
Un
tempo uno oltre che italiano si sentiva socialista, ora il socialismo non
esiste più e si sente solo italiano. Adesso c'è una ripresa notevolissima, nel
campo della dialettologia, della consapevolezza dell'essere italiani in queste
terre.
Questi
ultimi tempi hanno visto studi interessanti dal punto di vista dialettologico,
tesi a fermare il tempo. C'è il vocabolario del Dignanese del Dalla Zonca, che
è stato pubblicato nel 1978, prima c'era stato l’Avviamento' del professor Deanovic, c'erano stati parecchi studenti
istriani a Zagabria, fra cui il sottoscritto, poi il professor Radossi che ha
curato la toponomastica di Rovigno, il compianto professor Malusà, che ha
curato la terminologia istro-romanza nel campo dell'agricoltura.
Io
ho curato la terminologia marinaresca; in questo modo tutti noi abbiamo
veramente creato le basi per la salvaguardia e la conservazione del dialetto;
poi io e mio padre abbiamo compilato il Vocabolario Rovignese, per cui abbiamo
speso venti anni di lavoro; una cosa simile è stata fatta dal professor
Cernecca per quanto attiene a Valle, mentre mancano ancora delle rispondenze
per altri centri istrioti.
Per
ritrovare la nostra identità siamo tornati al dialetto.
Oggigiorno
si parla anche di inserirlo nelle scuole, si fanno spettacoli, si scrivono
delle cose in dialetto: c'è stata una grandissima produzione dialettale,
soprattutto grazie a Zanini e Curto, ma anche a Pellizzer, che hanno dato un
notevole contributo per la ripresa del dialetto rovignese, altrettanto dicasi
per Valle e per Dignano, sicché al concorso Istria
Nobilissima v'è ogni anno una ricchissima messe di poesie e di racconti in
istrioto (...).
D.:
Concludendo,
crede che in un prossimo futuro il suo prezioso vocabolario sarà il monumento
all'istrioto ormai estinto, oppure ne costituirà la testimonianza vitale?
R.: Vorrei
augurarmi che il mio vocabolario non fosse il monumento all'istrioto, è un
desiderio, ma dubito che si possa fermare questa lenta agonia.
C'è
soltanto un modo per farlo, ma è una soluzione in vitro, cioè portarlo nelle scuole, insegnarlo come le altre
materie, anche perché, in questo modo, potrebbe trovare una corrispondenza
nella vita del quotidiano.
Vorrei
concludere dicendo che il rovignese, in particolare, ha avuto un posto d'onore
nella dialettologia di queste terre e non posso non citare Benussi, che ha
scritto l'Avviamento allo studio del rovignese, pubblicato
nel 1988, poi Borri, nel 1975, Crevatin nel 1973, e i lavori di Paulettic,
Deanovic, Sponza, Rismondo, Ursini, Tekavcic, avvalendosi delle opere degli
autori rovignesi.
Io
penso che il rovignese non sia destinato ad una immediata estinzione, lo dico
perché nelle condizioni politiche contingenti, il rovignese si riconosce
soprattutto nel rovignese. Lo dico perché questa possa essere la molla
spirituale, morale, politica per la quale non si desisterà così presto.